Tilli, 40 anni dal record mondiale
21 Febbraio 2025Uno sprint nella storia: 40 anni fa (21 febbraio 1985) cadeva il record del mondo dei 200 indoor per mano di Stefano Tilli, con 20.52, agli Assoluti di Torino, preludio alla medaglia d’oro conquistata due settimane dopo agli Euroindoor di Atene dal velocista azzurro. Un crono rimasto imbattuto per due anni, fino al 20.36 del francese Bruno Marie-Rose. Quello che pubblichiamo di seguito è l’approfondimento dal titolo “L’erede di Mennea” con cui la rivista Atletica, a firma Pippo Degrandi, celebrava l’impresa.
da Atletica, febbraio 1985
Che i records siano fatti, in ogni sport, per essere battuti è verità lapalissiana, persino scontata. Ma quello che è caduto la sera di giovedì 21 febbraio, al Palazzo Vela torinese, nella seconda giornata dei Campionati Italiani Assoluti indoor, non è un primato qualsiasi, buono solo per le statistiche.
È un limite che apparteneva, ed appartiene tuttora, alla storia dell'atletica, non tanto per la sua portata tecnica, quanto per le dimensioni del personaggio che lo siglò, in una delle sue poche «escursioni», preparate, sui 200 al coperto. Quel personaggio, manco a dirlo, è Mennea ed ecco che proprio quando Pietro il Grande riappende le scarpette al chiodo, i suoi eredi tornano a scatenarsi.
Era successo, dopo il primo ritiro del barlettano, con Pavoni. Ora il fenomeno sembra ripetersi, in termini e proporzioni ancora più immediate. Inquadrato ed interpretato in questa luce, il 20.52 con cui Stefano Tilli, in un sol colpo, si è accaparrato primato italiano e mondiale dei 200 indoor, assume un significato che va ben al di là della sua, peraltro già elevatissima, rilevanza crono-metrica.
Insomma, è un momento importante, nell'ottica della continua rincorsa ai vertici mondiali che gli sprinters azzurri, con frequenza addirittura clamorosa, inferiore soltanto a quella delle «frecce» statunitensi propongono a suon di risultati. Tilli, in quella volata senza sbavature (con Simionato, dietro, a rappresentare stimolo insostituibile), ha idealmente preso il testimone che Mennea, pronunciando il fatidico «io smetto», aveva lasciato come pesante e stuzzicante eredità. Ce ne sarebbe per toccare il cielo con un dito, Stefano non perde, nemmeno in un'occasione così speciale, un'obiettività di analisi che fa onore all'uomo, ancor prima che al campione.
Così prima di decantare i propri meriti, lo sprinter del Cus Roma parla di Mennea, della pista, della staffetta.
Sentitelo: «È il primo record di Mennea che cade. Una sensazione stupenda. Sono stato compagno di stanza di Pietro in molte trasferte. Da lui ho imparato molte cose. Mi ha soprattutto insegnato, ripetendomelo in ogni occasione importante, che solo volendo fermamente qualcosa, inseguendolo con la massima applicazione, si può ottenerlo. E più vado avanti nella mia carriera e più capisco che aveva perfettamente ragione».
«Ma non illudiamoci troppo per questo mio 20.52, per carità. Certo, è un gran risultato. Però proviamo ad analizzare le condizioni in cui l'ho realizzato: ho corso su una pista, quella torinese, che è senz'altro la migliore al coperto in Italia. Ho gareggiato in una corsia, la quinta, praticamente ideale, dalla quale, nelle discese successive alle curve, ricevevo delle spinte enormi. I 30 centesimi di miglioramento si spiegano anche così. Diciamo che è una prestazione che mi serve come verifica del lavoro che sto svolgendo: vuol dire che sono sulla strada giusta, basta che prosegua in questo modo».
«Sono contento non solo per me, ma anche per i miei colleghi dello sprint azzurro. Io sono in progresso, Simionato sta correndo a sua volta velocissimo. Ullo migliora, Pavoni è sempre una garanzia. Insomma, possiamo mettere su una staffetta 4x100 da record europeo, e questa è una cosa importantissima, perché le staffette sono sempre indicative sul livello complessivo d'una nazionale e sarebbe bellissimo dimostrare, come abbiamo già fatto ai mondiali di Helsinki, che soltanto gli americani vanno più forte di noi».
Non sembrano le parole di chi ha appena fatto un record del mondo, ma il pregio migliore di Tilli è probabilmente proprio questo: sapersi caricare nei frangenti delicati («ho sempre bisogno di forti motivazioni, quando sono troppo tranquillo è difficile che riesca ad ottenere una prestazione eccellente») senza lasciarsi poi prendere a prodezza ottenuta, dalla facile tendenza al protagonismo.
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