Fassinotti si racconta

08 Dicembre 2016

Il saltatore azzurro sta proseguendo gli incontri con le Scuole del CR Lazio

Si è tenuto ieri, mercoledì 7 dicembre, presso lo Stadio dei Marmi, l’incontro tra i ragazzi della Scuola di atletica Marmi con il campione azzurro di salto in alto Marco Fassinotti. L’appuntamento, il penultimo del giro di visite (l’ultimo il 14 dicembre alla scuola Eucalipti) del saltatore dell’Aeronautica Militare tra i giovani delle scuole di atletica del CR Lazio nell’ambito della nuova iniziativa “A scuola con gli azzurri”, ha consentito anche di mettere insieme una bella intervista con uno dei personaggi di riferimento dell’atletica italiana. Buona lettura!

 

Chi è Marco Fassinotti, che passioni hai?

Sono un ragazzo di 27 anni ricco di quell’allegria e spensieratezza tipica della mia età, anche se nel lavoro, l’atletica, sono molto serio e professionale, e a volte agli occhi di chi non mi conosce questo può farmi sembrare rigido ed impostato. Ho una grandissima passione per il mare, in ogni sua forma, pratico il windsurf da quando ho 11 anni, gioco a beach volley e quando posso trascorro le mie estati in spiaggia. Mi piace molto leggere, specialmente libri gialli. Per un periodo ho avuto la passione per le moto che purtroppo ho dovuto abbandonare a causa di rischi che comunque avrei potuto correre, ma niente esclude un riavvicinamento quando magari non farò più atletica.

L’atletica come ti ha scoperto? Praticavi altri sport da piccolo?

Da piccolissimo ho praticato ogni genere di disciplina sportiva: volley, basket, equitazione, karate, judo, nuoto, canoa, davvero tutto, poi alle medie la mia professoressa mi ha proposto di provare un po’ il salto in alto anche se ero portato un po’ per tutti i salti. Dopo poco ho deciso di iscrivermi con una società, e da lì ho “giocato” per tanto tempo allenandomi una o due volte a settimana, era per me un’attività totalmente ricreativa. Poi, migliorando, mi sono deciso e ho cominciato a praticare questo fantastico sport più seriamente.

Il tuo sogno da piccolo atleta?

Non mi sono mai visto come un atleta “forte”, mi sono scoperto piano piano col tempo, non ho mai avuto quindi chissà quale sogno atletico. Ancora adesso mi prefisso degli obiettivi reali e raggiungibili, da sempre seguo la strada che mi permette di raggiungerli. Seguivo la carriera di Stefan Holm, il saltatore in alto svedese, di cui mi colpiva soprattutto la costanza nei salti e nelle misure, poi crescendo ho distolto lo sguardo da lui.

In questi 13 anni di atletica quali sono i tuoi più bei ricordi?

Due momenti, molto distanti e diversi tra loro. Primo tra tutti il minimo per i campionati italiani allievi, era un obiettivo a cui puntavo ed è stata la prima conferma che mi ha anche permesso di realizzare quanto fosse importante impegnarsi in qualcosa che volevo, è stato una spinta a procedere e ad allenarmi di più. Il secondo è di meno tempo fa, più da grandicello, quando ho vinto la mia prima tappa della Diamond League nel 2015, oltretutto a Londra, città che ormai era diventata la mia casa visto che vivevo in Inghilterra da tre anni. E’ stata un’emozione vincere proprio lì, nel paese che mi aveva ospitato ed integrato.

Se potessi scegliere un’altra disciplina dell’atletica leggera quale ti piacerebbe fare?

Il giavellotto, molto simile all’alto sotto certi aspetti tecnici. Una delle cose più belle è che ti senti una divinità greca, lanci questa asta e la vedi volare in aria, ti fa sentire fortissimo! E’ il lancio più dinamico che ci sia, lo stesso dinamismo che ritroviamo nel salto. Molto spesso i saltatori in alto possono essere anche buoni giavellottisti, ne è l’esempio l’atleta italiano Norbert Bonvecchio che è anche stato campione italiano di salto in alto oltre che nel lancio del giavellotto. Siamo anche noi un po’ lanciatori, dopotutto noi per primi “lanciamo” il nostro corpo oltre l’asticella.

C’è mai stato un momento NO nella tua carriera?

Ce ne sono stati due veramente importanti, ma la consapevolezza di non aver raggiunto il mio massimo potenziale mi ha dato la giusta carica per ripartire e mi ha spinto ad insistere su questa strada rendendomi inoltre più sicuro di me. Mi ha anche dato la capacità di programmare, caratteristica fondamentale nella vita di un atleta di cui quasi sempre si occupa il tecnico, solo attraverso lui poi puoi riuscire a migliorare e a raggiungere i tuoi limiti.

Non è mai esistito un periodo così produttivo per il salto in alto in Italia.

Qual è secondo te il motivo di tutto questo?

Sono tre/quattro anni che il livello medio internazionale si è alzato, c’è stata un’evoluzione nella tecnica in cui ogni aspetto tecnico si è velocizzato, lo si è notato specialmente nel 2014 quando ben quattro atleti si sono spinti oltre i 2,40m (il record del mondo è di 2,45m n.d.r.). Gli allenatori si aggiornano continuamente e si confrontano, di conseguenza tutti i saltatori hanno la possibilità di migliorare e di spronarsi a vicenda, salto dopo salto. Grazie a questi incontri internazionali, a cui specialmente io e Gianmarco Tamberi partecipiamo, otteniamo la giusta carica che ci porta ad alzare l’asticella continuamente. Anche altri atleti italiani hanno le stesse occasioni per confrontarsi: Silvano Chesani, Alessia Trost e Desirée Rossit per citarne alcuni. Io poi mi  alleno in Inghilterra a Birmingham da tre anni, decisione presa in seguito alla mancata partecipazione alle Olimpiadi di Londra nel 2012 e dopo l’assenza di miglioramenti. Ho lasciato casa e sono partito, è stata una scelta dura ma molto consapevole che mi ha portato poi a migliorare di 6cm in un anno e mezzo.

Tra tutte le tue gare qual è stata la più sentita e che più ti ha appassionato?

Ti rispondo dicendoti che sarà la gara in cui migliorerò nel futuro prossimo. Per quanto tempo potrà volerci la più bella sarà quella futura.

Ricordiamo benissimo i campionati italiani indoor di Ancona 2014. In quell’occasione superasti in una gara senza esclusione di colpi Gianmarco Tamberi e Silvano Chesani, aggiudicandoti il titolo e il record italiano. Come ti sei sentito?

E’ stato bellissimo farlo in casa, in Italia, era un record italiano che resisteva da 25 anni che anche grazie ad un pubblico magnifico sono riuscito a conquistare. Prima della gara già sapevo di essere in condizione ed ero partito per fare quel risultato e non di meno, non è mai scontato ma era proprio quello che volevo e a cui puntavamo, titolo e record italiano.

Futuri obiettivi?

Sono ancora in ripresa in seguito al mio infortunio di questo giugno. Punto molto con la mia preparazione ai mondiali di Londra del 2017. Ho tanta voglia di impostare un lavoro che si sviluppi nei prossimi 4 anni, sarà un lavoro più graduale a differenza dell’ultimo anno olimpico, molto meno aggressivo, mirato a migliorare le mie misure e la mia tecnica nel tempo. Purtroppo nonostante il mio personale di 2,35m ottenuto ad inizio anno non sono riuscito ad essere competitivo quando serviva veramente, in futuro non sarà più così.

Chi ha influito maggiormente nella tua carriera?

TUTTI. Dalla mia allenatrice che mi ha seguito dai tredici ai ventidue anni, a tutti i partecipanti ai raduni della FIDAL, ai fratelli Ciotti, ad Antonietta Di Martino, anche dal percorso di Gianmarco prendendo spunti, TUTTI hanno lasciato un segno. Poi io mi sono sempre guardato intorno e da quella posizione ho deciso chi potesse lasciare qualcosa nella mia vita e chi no. Ovviamente grazie al gruppo sportivo dell’Aeronautica Militare ho avuto la possibilità di allenarmi in un altro paese con dei tecnici fantastici. Negli ultimi anni anche la federazione mi ha sostenuto tantissimo, specialmente dal momento del mio infortunio, ha messo a disposizione le strutture mediche del CONI per la mia totale ripresa. Ognuno di questi aspetti mi fa capire quale sia il mio reale valore, molto importante specialmente in questo momento in cui non sono proprio al massimo della condizione fisica e mentale.

Cosa provi tornando qui ai Marmi?

Questo è lo stadio in cui ci si riscalda prima di entrare in pedana al Golden Gala. Negli ultimi anni ne ho girati tanti ma un impianto così bello è introvabile nel resto del mondo. Ti fa sempre sentire a casa, circondato dalla bellezza e dalla tranquillità, tutto è così bianco e poetico, gareggiare all’Olimpico può essere solo il completamento di qualcosa che è già fantastico di suo. Poi negli ultimi anni è stato dedicato un tributo a Pietro Mennea, ora c’è il suo nome affisso su una parete dello stadio, lì dove è visibile agli occhi di tutti, lui che dovrebbe essere un esempio di costanza per tutti. Sopportava carichi di lavoro impressionanti allenandosi da solo a Formia passando 365 giorni l’anno nella sua stanza al centro di preparazione olimpica, in quei momenti invece di perdere la testa e mollare tutto cercava le motivazioni che lo avevano spinto fino a quel punto, ritrovava la consapevolezza di essere Mennea e tornava in pista più forte di prima. Davvero, un esempio!

 

A cura di Lorenzo Minnozzi


Il gruppo della Scuola Marmi (foto Fidal Lazio)


Condividi con
Seguici su: